New York: fotoracconto di Maurizio Mercuri
New York, 9-18 febbraio 2017
fotoracconto di Maurizio Mercuri
Il giorno seguente la nostra tabella di marcia impone la prima visita culturale della settimana al MOMA, il museo di arte moderna più noto al mondo. Le scuole di pensiero sul tipo di opere raccolte sono due, ben distinte e completamente opposte tra chi le osanna e chi le disprezza. Io nella maggior parte dei casi ne disprezzo buona parte. Come nel caso dei primi tre piani di questo museo, che scorrono molto veloci tra l’esaltazione di supercazzole impacchettate “ad arte” e fellatio di vario genere (anche equine), tra cornici vuote appese su muri bianchi, quadri contenenti quadrati e quadri contenenti cerchi, entrambi opere di artista pluri-disturbata. Il mio consiglio è: salite subito al 4° e 5° dove troverete giusto qualche Van Gogh, Monet, Picasso, Dalì… robetta insomma, che anche a un ignorante in materia come me, riesce a trasmettere qualcosa. Ci siamo domandati, senza trovare risposta, a cosa servisse l’audioguida presa all’ingresso. Forse a spiegare l’immensità artistica di una parete bianca. Non ho scattato molte foto, se non per semplice reportage, e ho riservato i miei scatti al tardo pomeriggio, quando ci siamo concessi una passeggiatina per Central Park.
L’indomani la sveglia suona presto. Abbiamo da rispettare l’unico vincolo di tutta la vacanza: la visita alla Statua della Libertà, prenotata mesi prima per poter accedere alla sommità. In una manciata di fermate con la metro raggiungiamo Battery Park, da dove saliamo sul battello per Liberty Island. La giornata è davvero la peggiore di tutta la settimana: oltre all’immancabile freddo sì aggiunge un pungente nevischio, accompagnato da una densa nebbia che falcia l’imponente skyline di Manhattan rendendolo a colpo d’occhio simile a quello di una città di provincia. Il tempo di decidere se fare colazione o meno al bar del battello, ed è già ora di scendere. Facciamo un breve tragitto a piedi, sicuramente non pervasi da quell’entusiasmo tipico da “quattro amici a New York” e ci mettiamo in coda.
In America non sempre occorre guardare avanti, spesso basta seguire il flusso. Se il flusso si ferma ci sono due motivi: o perché il semaforo pedonale è rosso o perché c’è qualcosa d’importante da fotografare. In questo caso il nostro flusso si interrompe appena svoltato a destra, e d’improvviso ci troviamo… nel culo dell’America! Cioè, mi spiego meglio, ci siamo trovati dietro le terga della Statua della Libertà. Dopo controlli e metal detector vari, riusciamo ad accedere al basamento. Ci attendono 338 gradini di una strettissima scala a chiocciola a doppia elica. Una volta raggiunta la corona lo spazio è talmente angusto da non permettere la sosta per lungo periodo. Al massimo vi possono sostare una decina di persone, più un paio di poliziotti acrobati che per non intralciare il flusso sono in piedi sulle travi di sostegno della struttura. Una cosa che consiglio comunque di fare se state pianificando tale visita è di prenotare i biglietti per la corona altrimenti potrete soltanto scattare qualche foto dal piedistallo e niente più… Non che dalla corona ne possiate scattare di stupefacenti, ma almeno darà un pizzico di sale a quella che potrebbe essere l’esperienza più “scialba” del vostro viaggio.
Il tempo decide di non darci tregua. Il nevischio continua ad accompagnare il nostro traghetto fino alla tappa successiva: Ellis Island, il luogo in cui tutti gli emigrati dovevano passare prima di giungere a New York. Oggi la grande sala di registrazione è uno spazio di quiete e serenità; si fa quasi fatica a immaginarla piena di persone in tormentata attesa con il loro incessante brusio. Ritornati sulla terraferma ci accoglie in lontananza la sagoma incompleta dell’One World Trade Center o, se preferite, la Freedom Tower. 541 metri di vetro e acciaio per lo più celati da una fitta nebbia. Laddove una volta svettavano le Torri Gemelle, ora si aprono due immense vasche in memoria dei tragici eventi dell’11 settembre. Qui anche il passo del turista più spedito si smorza. Il suono dell’acqua che sovrasta i rumori della città sembra far scorrere più lentamente il tempo. Allora ti fermi, appoggi le mani sulla fredda lastra di rame che reca i nomi delle oltre duemila vittime e ti rendi conto che l’animale più crudele sulla faccia della terra rimarrà sempre e comunque l’uomo.
Dal punto di vista architettonico l’intera area è un brulicare di cantieri. Decidiamo di rifugiarci dal freddo entrando nell’Oculus, il nuovissimo hub della metro progettato da Santiago Calatrava. Il suggestivo complesso connette ben undici linee sotterranee e quattro grattacieli su un totale di 74.000 mq edificati in vetro, acciaio e marmo di un bianco glaciale. In poche parole sembra la carcassa di dinosauro. Al suo interno però la hall è un susseguirsi di scorci e spunti fotografici, resi ancor più allettanti dalle tante persone che si muovono come frenetiche formichine. Il Memoriale dell’11 settembre è infine una di quelle cose che semplicemente inciderà il vostro cuore. Sarà necessaria l’intera mattinata per visitare adeguatamente gli immensi spazi un tempo ospitanti i sotterranei del World Trade Center.
La sera, dopo una non definita cena in un (poco) ristorante cinese, decidiamo di seguire le minuziose indicazioni del mio carissimo amico Marco per godere del migliore skyline di Manhattan. Dopo un breve e congelante tratto a piedi arriviamo a Brooklyn Heigths, la passeggiata che costeggia la foce dell’East River… e in un attimo si torna bambini! Gioia e stupore si mischiano con ciò che gli occhi riescono a cogliere e che la mente quasi si rifiuta di capire. I sensi si saturano di luci e forme, suoni e colori, al punto che risulta difficile racchiudere il tutto in un’unica immagine. L’adrenalina per circa un’ora ci fa ignorare sia il freddo tagliente che il vento gelido. Poi però cala – l’adrenalina, non il vento – e ci rendiamo conto dal colorito violaceo dei nostri visi che è il momento di tornare in albergo.
La sveglia suona all’alba e per la prima volta in questi giorni decido, nonostante il freddo, di fare un giro mattutino a Central Park. La città è già in piena attività, ma me la lascio alle spalle addentrandomi nell’immenso “rettangolo” innevato. Dopo aver recuperato i miei compagni di viaggio e fatto con loro un’abbondante e carissima “colazione americana”, abbiamo iniziato la cosiddetta giornata dei musei. Se desideraste visitare ogni singolo museo di New York avreste bisogno di soggiornarvi almeno 20 giorni, ma il nostro tempo è limitato e in un sol giorno visitiamo giustappunto i tre più noti: il Natural History, il MET e il Guggenheim, balzando senza criterio da un meteorite a un Monet, da uno scheletro di T-Rex a un Caravaggio. Il Guggenheim è poi esso stesso un opera d’arte, un’avvolgente spirale scandita da quadri e sculture che vi accompagnano per cinque incantevoli piani.
Prima di tornare in hotel torniamo a Time Square, un luogo che non smette mai di stupire, traboccante com’è di luci e persone H24. Anche se non siete appassionati di street photography cederete sicuramente alla tentazione di rubare qualche scatto. Dopo l’ennesima cena in posti poco raccomandabili, ci aspetta il coronamento di giornata: l’Empire State Building. Un paio di rapidissimi ascensori ci portano direttamente al 86° piano, le porte si aprono e innanzi a noi si apre una vista mozzafiato. Vien voglia di correre lungo tutto il perimetro per riuscire a vedere d’un sol colpo tutta Manhattan. Ovviamente non potendo portare con me il cavalletto, fotografare di notte a -10° e con abbondante vento trasversale è davvero una sfida. Piccolo consiglio: cercate di appoggiarvi in modo stabile alle pareti, in modo da provare esposizioni più lunghe e ISO bassi. E non dimenticatevi tra uno scatto e l’altro di rientrare dalla terrazza per permettere al sangue di ricominciare a scorrere nelle vostre mani.
Non paghi delle decine di chilometri percorse ieri, la soleggiata mattinata ci suggerisce un’ulteriore lunghissima passeggiata a Brooklyn. Per arrivarvi attraversiamo l’omonimo e più famoso ponte d’America. Sarà che una sottile sensazione di fine viaggio iniziava ad insinuarsi nei miei pensieri, ma quelle ore trascorse a cavallo dei 1825 metri del ponte sono state tra le più piacevoli che io ricordi. Ovviamente non vi elenco la moltitudine di spunti fotografici che un’opera del genere può fornirvi, per di più con l’inconfondibile sfondo dei grattacieli di Manhattan. Ogni scatto fatto sembrerà un quadro da appendere. Giunti nel cuore di Brooklyn si ha finalmente la percezione di essere in America. Gli imponenti caseggiati di mattoncini marroni in riva al fiume, in passato sedi di fabbriche e stabilimenti, sono oggi riqualificati in case di pregio e luoghi di fervente vivacità artistica.
A dominare incontrastati la scena, “loro maestà” i ponti. Questa zona, detta D.U.M.B.O (cercatevi l’acronimo su internet…) è letteralmente spaccata in due dal celebre Manhattan Bridge: la prima prosegue verso est fino al Brookylin Bridge, la seconda verso ovest fino all’adiacente Vinegar Hill. Il fatto che il ponte sia un arteria nevralgica per le metropolitane di New York, rende D.U.M.B.O. il posto probabilmente più rumoroso della città. Provate a immaginare: vagoni con ruote in acciaio che transitano di continuo su binari in acciaio a loro volta adagiati su un ponte in acciaio…
È l’ultimo giorno: prima di lasciare definitivamente la Grande Mela decido di fare un’altra bella passeggiata mattutina a Central Park. Nel parco la neve inizia a sciogliersi, scoprendo un manto erboso quasi primaverile sul quale qualche sporadico pupazzo di neve resiste eroicamente. Dopo aver fatto colazione ci dirigiamo verso la nostra prima tappa di oggi: Roosevelt Island. Si tratta di un’isolotto sull’East River a metà tra Manhattan il Queens. Una volta era sede di una prigione, ora, come la maggior parte dei sobborghi, sta scoprendo una nuova veste residenziale. A collegare l’isolotto con i due quartieri ci sono il Queensboro Bridge e anche, soprattutto, una funivia. Consiglio vivamente di farci un giro perché si gode di una vista magnifica. L’ultima tappa del nostro tour è dedicata all’Intrepid, un interessante museo navale e aerospaziale ospitato da una vera portaerei attraccata sull’Hudson. Il tour comprende sia un giro a bordo di un sottomarino che una visita al capannone dello Shuttle Enterprise.
New York esce promossa a pieni voti da questo viaggio. Una metropoli a misura d’uomo, che ti farà sentire a casa dopo poche ore. Una città dagli innumerevoli spunti fotografici a qualsiasi ora del giorno e della notte. Amerete le sue immense Avenue ricolme di taxi gialli e vi mancherà il contrasto tra grattacieli altissimi che sovrastano palazzi di una decina di piani. Vi innamorerete velocemente dei prati, degli alberi e dei laghi di Central Park. Vi resterà per sempre impressa la vista dello skyline della città, per non parlare poi della quantità infinita di opere d’arte che avrete a portata di mano. Lascerete New York pianificando già il vostro ritorno.
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