Polonia: foto Valerio Ceccarelli, articolo Elda Paoli
Ogni cosa in Polonia, ogni gesto, ogni accento, parla della passione polacca.
Ad un invito non si dice mai di no, specialmente quando si tratta di un invito a fare le valigie, mettersi in viaggio ed andare alla scoperta di nuovi posti per poter poi mettere, al ritorno a casa, un’altra piccola spunta all’infinito elenco di luoghi da visitare nella nostra vita!
Ho risposto sì ed è nato questo viaggio…La meta? La Polonia.
Così, insieme ad una allegra combriccola di amici e parenti, ci siamo lasciati alle spalle il piacevole caldo primaverile di un pomeriggio romano di metà aprile per trovarci, due ore dopo, immersi nel freddo e nella pioggia della Polonia.
Carichi di aspettative, di curiosità e di desiderio di conoscenza, con il cuore colmo di quell’emozione che solo i viaggi e i nuovi luoghi da scoprire sanno suscitare, siamo andati a dormire. Sono certa, però, che nel silenzio della notte, nel caldo confortevole del piumone, ognuno di noi abbia pensato a ciò che avremmo vissuto il giorno successivo: la visita ai campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau.
GIORNO 1: CAMPI DI CONCENTRAMENTO
Non è facile per me descrivere cosa ho visto in quei luoghi; o meglio, è facile raccontare cosa hanno visto i miei occhi, ma non lo è affatto spiegare cosa ha visto e cosa ha provato il mio cuore.
Quella mattina del Venerdì Santo il pullman ci ha lasciato nei dintorni del primo campo di concentramento che avremmo visitato durante quella giornata: Auschwitz I. Credo che, per rendere più completo questo racconto e, soprattutto, per il tema affrontato, sia doveroso fornire anche qualche cenno storico. Questo campo venne ufficialmente fondato il 20 maggio 1940; Rudolf Hoss, che ne fu nominato primo comandante, ricevette l’ordine di costruire un complesso di strutture che, inizialmente, doveva funzionare da campo di concentramento per i prigionieri politici polacchi. Successivamente i nazisti iniziarono a deportarvi persone di tutta Europa, principalmente ebrei provenienti da stati diversi, ma anche prigionieri bellici sovietici e zingari; tra i detenuti c’erano anche cechi, jugoslavi, austriaci e tedeschi. Il comandante Hoss, per ottimizzare tempo e risorse, decise di sfruttare gli edifici di una vecchia caserma polacca abbandonata, a cui però vennero aggiunti nuovi edifici. Fu così che nacque questo campo di concentramento, probabilmente il più famoso e conosciuto per le atrocità disumane compiute in quel luogo, proprio su quel terreno su cui anche noi, quel giorno, siamo passati. La quantità media di detenuti oscillava tra i 13.000 e i 16.000 e, tra quel filo spinato, sono morti circa 70000 esseri umani.
Ed eccoci qua, davanti al cancello, in silenzio, tutti con lo sguardo in su a guardare la celeberrima scritta, quel motto così beffardo che aveva il compito di dare una speranza a coloro che lo leggevano: “Arbeit macht frei”, il lavoro rende liberi, niente di più falso… Chi entrava lì andava solamente incontro a lavoro, torture, dolore ed infine alla morte.
La visita poi è continuata nel secondo campo di concentramento, situato a pochi chilometri dal primo, conosciuto come Birkenau o, per essere precisi, Auschwitz II. La cinematografia, purtroppo, con i numerosi film e documentari ambientati in questi luoghi, ha portato a fare degli errori sulle reali posizioni di alcuni elementi. Ad esempio, i binari, che, attraversando un cancello, entrano nel campo portando i prigionieri, si trovano qui a Birkenau, non ad Auschwitz come erroneamente i più credono. Su quelle rotaie noi ci abbiamo camminato, ci siamo fermati sulla stessa banchina in cui i deportati scendevano, lasciavano le valigie, venivano divisi dai propri familiari e, con un misero gesto, appena accennato, del dito del medico delle SS, iniziavano il loro cammino verso la vita, se possiamo chiamarla così, o la morte.
In quella giornata avevo un solo pensiero fisso: cercare di immaginare cosa avesse dovuto significare vivere lì, come fosse trascorrere in quel luogo giornate, mesi o, per i più fortunati, anni interi. La difficoltà più grande era immaginarmi il freddo… Sapete che, durante l’inverno passato, in una notte di gennaio, la temperatura è scesa a -26°? Quegli uomini hanno sopportato un tale freddo, il vento, la neve e la pioggia indossando un misero, leggero e logoro completo.
Invece quella, stranamente, era una bella giornata, il cielo era sereno e splendeva il sole; ricordo di aver pensato che, nell’insieme, quelle casette in mattoni, circondate da un bel prato verde e rigoglioso, illuminate dal sole, costituivano persino una bella scena, a tratti anche fiabesca, piacevole. In un attimo, poi, il pensiero è tornato al passato: ho rivolto lo sguardo in basso, su quel terreno formato, ancora oggi, dalla terra e dalle ceneri di uomini, donne e bambini che hanno perso la vita proprio lì, proprio tra quelle belle casette in mattone circondate dall’erba e illuminate dal sole.
GIORNO 2: LE MINIERE DI SALE
“Il sale deve avere qualcosa di sacro: infatti, si trova nel mare e nelle lacrime.”
380 scalini e, in pochi minuti, ci troviamo a 132 metri sotto terra: ha così inizio per noi il percorso nei tortuosi, ma affascinanti tunnel all’interno della miniera di sale. I minatori polacchi, per più di 300 anni, hanno scavato oltre 300 chilometri di gallerie per portare in superficie l’oro bianco, il sale, l’unico metodo per conservare il cibo per lunghi periodi. Iniziamo così a camminare: il percorso sotterraneo è totalmente scavato nel sale e, proprio con il sale, i minatori si sono dilettati a creare ciò che volevano. Ad ogni curva, ad ogni angolo c’è una sorpresa: statue intagliate, bassorilievi, nicchie, immagini sacre, lampadari ed altari…tutto realizzato esclusivamente con il sale.
Un altro spettacolo mozzafiato solo i laghi sotterranei: l’acqua che vi è contenuta è talmente densa e satura di cloruro di sodio che, citando le guida turistica, “ci si potrebbe persino camminare sopra”!
Come sempre accade, il più bello arriva alla fine: infatti, nelle profondità della miniera si trova Santa Kinga, la più grande chiesa sotterranea al mondo, dedicata alla patrona dei minatori e diventata dal 1978 Patrimonio dell’Unesco. No, non avete capito male, è una chiesa interamente scolpita nel sale e realizzata con questo prezioso materiale in ogni sua parte, dai pavimenti all’altare, dai candelabri alle decorazioni. Non deve essere stata un’opera tanto facile, per realizzarla fu necessario rimuovere 20.000 tonnellate di sale in trenta anni di lavoro…Ma ciò che è nato da questa impresa è davvero mozzafiato.
GIORNO 3: KRAKOW
Cracovia è una delle città più grandi e popolate dello stato: ne è stata a lungo la capitale e rimane tuttora il suo principale centro culturale, artistico ed universitario.
Il primo elemento caratteristico del piccolo, ma molto curato, centro storico è la vastità della piazza principale di Cracovia: la piazza del Mercato ha forma quadrangolare ed ogni lato misura circa 200 metri. Grazie a queste dimensioni, si è aggiudicata il titolo di più grande piazza medievale di tutta Europa.
Su un angolo della piazza sorge la Basilica di Santa Maria e la caratteristica più evidente della sua alta facciata sono le due alte torri che la fiancheggiano, asimmetriche e di diversa altezza.
Si narra, infatti, che l’incarico per costruire le torri sia stato affidato a due fratelli, ognuno dei quali avrebbe dovuto erigerne una. Sorse presto tra loro una accesa rivalità e ognuno tentò di costruire una torre più alta di quella dell’altro. Il fratello minore però uscì sconfitto dalla competizione: accecato dall’invidia, colpì a morte il maggiore con un coltello e, in preda al rimorso, utilizzò la stessa arma per togliersi la vita con una pugnalata al cuore. A ricordo di questi eventi, il coltello è conservato ed esposto sulla parete del Palazzo dei Tessuti, che si affaccia proprio sulla piazza.
Ad un tratto, mentre noi eravamo intenti ad ammirare la piazza, la nostra guida ci invita a fare silenzio e ad osservare una delle finestre della torre più alta della Basilica. Questa si apre, si intravede un piccolo oggetto dorato ed inizia una melodia di tromba. Ogni giorno, ogni ora, si ripete questa scena in ricordo di un episodio del 1240: erano tempi difficili e tormentati e, per difendersi dai continui attacchi dei nemici, una sentinella vigilava sulla città dalla torre più alta; in caso di pericolo doveva suonare l’Hejnal, una melodia che avrebbe avvisato la città del pericolo imminente. In quella fatidica notte, la tromba squillò. Il trombettiere diede l’allarme, suonò senza mai fermarsi per svegliare i soldati, ma all’improvviso una freccia gli trafisse la gola ed il canto si interruppe. In ricordo di questa vicenda, il trombettiere di Cracovia suona ancora l’Hejnal interrompendosi a metà, come ha fatto il suo eroico predecessore tanti anni fa. Questa scena si ripete allo scoccare di ogni ora e la melodia viene suonata per quattro volte in direzione dei punti cardinali: prima verso il castello, per il Re, poi per le autorità cittadine, in seguito per dare il benvenuto ai forestieri ed infine per la popolazione.
L’ultimo quartiere visitato è stato quello ebraico, Kazimierz, denso di storia e di tradizione, scelto oltretutto come set per le riprese di Schindler’s List, il celebre film di Steven Spielberg. Kazimierz è stato il centro della vita religiosa e sociale della Cracovia ebraica fino a quando la comunità semita che lo abitava (circa 65.000 persone) venne deportata nei vari campi di sterminio durante l’occupazione nazista. Passeggiando per le vecchie stradine in pietra si avverte in ogni angolo lo spirito della cultura ebraica: le sinagoghe, le stelle di David, i volti delle persone, i negozi, i graffiti sui muri… Ogni cosa parla della storia e del passato!
E’ con queste ultime immagini che il nostro viaggio si è concluso e finisce qui anche il mio racconto.
Sono tornata a casa con ricordi ed emozioni impresse nel cuore che mai più potrò dimenticare.
In conclusione, mi chiedo: consiglierei questo viaggio? La mia risposta è ancora una volta sì!
Elda Paoli
Raccontare una storia con il Fotolibro
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